Un quintetto di artisti campani per dimostrare che i rifiuti non hanno sommerso la musica di Napoli, in barba a chi cita ormai questa nostra splendida città solo per problemi legati alle discariche. Un quintetto di artisti per “Languages”, nono album di Aldo Farias, chitarrista di grana grossa molto apprezzato non solo dai colleghi.
La mano sicura di Farias, mista alla fantasia compositiva matrice di 8 composizioni originali, è l’assoluta protagonista dell’album. L’organico d’eccezione non copre i fraseggi del leader, a suo agio sia sulla chitarra acustica sia su quella elettrica. Il fraseggio è limpido, l’inventiva alta, e viene naturale voler studiare e riprodurre le linee melodiche di alcuni pezzi. Uno solo lo standard rielaborato, “I Fall in Love Too Easily”, trascinante e sentito. In un viaggio che tocca tanto l’Africa (la stupenda “Echoes from Africa”, nella quale fanno però capolino toni arabeggianti) quanto l’Europa con “Praga”, i linguaggi che delineano l’album sono quelli del blues e del bop, ricco sì di virtuosismi, ma anche di anima. Lo si percepisce ascoltando “Languages” magari mentre si va a zonzo per posti come Piazza Garibaldi: c’è un’aria di mediterraneo che Farias semina nell’intero lavoro, rendendolo così anche colonna sonora di un viaggio nel Meridione.
Forniscono il loro ottimo contributo Alberto D’Anna ed Angelo Farias, solidissimo bassista di famiglia, per la sezione ritmica e due veri e propri “pezzi da 90” come Giovanni Amato, con la sua capacità di duettare con il chitarrista sin dalla prima traccia (“One for Bud”), e Daniele Scannapieco che tra un progetto parallelo e l’altro riesce sempre a ritagliarsi i suoi spazi fornendo preziosi contributi, per la sezione fiati. Speriamo che il sodalizio con Aldo Farias continui, magari producendo altre “Echoes from Africa”.
Giuseppe Andrea Liberti per Jazzitalia