Intervista tratta da doppiojazz.it
Tutto ciò che esce dal disco sembra pesato ed equamente ripartito, per contro il procedimento esecutivo avviene in maniera estremamente sorgiva e spontanea, tanto che l’atto improvvisativo dei singoli ed il loro dinamico interplay diventano la carta vincete del progetto.
di Francesco Cataldo Verrina
Oggigiorno, la specie dell’omo-jazz-sapiens viene perpetuata grazie all’impegno delle etichette indipendenti. Encomiabile il lavoro di scouting e di ricerca fatto dalla Barly Records, che immette regolarmente sul mercato dischi impeccabili, sia dal punto di vista artistico che sul piano della qualità sonora. «Worlds» di Farias, Nappi, Scannapieco e Iodice, non sfugge a tale regola, piuttosto la conferma. Parliamo di un disco acefalo, gli americani direbbero All-Stars, non c’è, per intenderci, un vero leader-band, ma i quattro sodali agiscono inter pares, divenendo, a rotazione e nella circolarità dell’interscambio, indicatori di marcia del progetto.
“Worlds», prodotto da Vittorio Bartoli e Roberto Lioli, ci consegna un mondo, anzi, tanti «mondi» possibili che parlano attraverso un rutilante susseguirsi di immagini, le quali si accendono, scompaiono, si dilatano, si colorano, s’infittiscono di cromatismi, sfumano e ricompaiono fra i ricchi interstizi armonici, le melodie accese o suadenti e il drive ergonomico della retroguardia. Sotto il profilo strumentale la chitarra di Aldo Farias ed il pianoforte di Mario Nappi si alternano, secondo il principio della reciprocità, nella narrazione solista e nel supporto armonico, mentre la macchina del ritmo scorre fra le dita del contrabbasso di Tommaso Scannapieco che offre, alla bisogna, un walkingdeciso ed imperioso, mentre il kit percussivo di Pietro Iodice, difficilmente, lascia aria ferma. L’equilibrio relazionale fra i quattro attanti sulla scena sfiora la perfezione: talvolta, alcuni incontri e collaborazioni si manifestano come una sorta di allineamento astrale. Tutto ciò che esce dal disco, sembra pesato ed equamente ripartito, per contro il procedimento esecutivo avviene in maniera estremamente sorgiva e spontanea, tanto che l’atto improvvisativo dei singoli ed il loro dinamico interplay diventano la carta vincete del progetto, il quale alterna composizioni originali e standard con estrema naturalezza, riuscendo a costruire un hub di collegamento fra attualità e tradizione.
L’album si apre con il classico «How Deep Is The Ocean» di Irving Berlin, che i quattro sodali innervano di nuove essenze strumentali ed emotive, con la chitarra ed il pianoforte che si alternano in un susseguirsi di cambi di scena con la complicità della retroguardia, conferendo così al componimento una dinamica quasi cinematografica. A seguire «Eldorado», un excursus sonoro fra terre lontane ed esotiche a firma Aldo Farias, sicuramente il climax dell’album per impatto melodico e per energia strumentale rilasciata. «Walzer New», sempre farina del sacco di Farias è un componimento più leggiadro ed arcuato, in cui perfino il basso di Scannapieco, sembra deporre le armi e trovare la sua aurea «melodizzante». «Lorenzo e la Vela» è un componimento più intimo dalla pennellata tenue e delicata scritto da Nappi, una ballata dal sapore vagamente cameristico e dai sentori mediterranei. «Praga» di Aldo Farias, assume a tratti sembianze vagamente fusion, riportando alla mente certe atmosfere metheniane, in cui rapporto fra chitarra e piano diventava inscindibile e mutualistico: si pensi al lavoro di sintesi congiunturale operato da Pat Metheny e Lyle Mays. «The Nearness Of You» è uno standard eseguito con un piglio più risoluto rispetto al metodo tradizione ed un mood molto contemporaneo, così come l’atto conclusivo del disco, «Show Type Tune» di Bill Evans, diventa un’ode garbata al pianista jazz bianco per antonomasia, ma evitando ogni tentativo di imitazione e di confronto, poiché ad avere leadership narrativa del brano è la chitarra, a cui pianoforte, basso e batteria prestano volentieri il fianco. «Worlds» di Farias / Nappi / Scannapieco / Iodice è un disco che emana una visone ad ampio spettro dell’idioma jazzistico, implementato, nota dopo nota, dalla sapienza compositiva ed esecutiva di quattro musicisti di rango.